La fondazione, nel gennaio 1906, del «Bollettino Storico Piacentino» rappresentò la nascita di un nuovo strumento di comunicazione della ricerca storica, ma anche e soprattutto la creazione di un nuovo “luogo di cultura”. Non più il chiuso salotto aristocratico e certo non lo studio universitario: a tenere a battesimo il periodico fu Stefano Fermi, giovane professore formatosi alla “scuola fiorentina” sotto il magistero di Guido Mazzoni; attorno a lui il gruppo dei trentadue soci fondatori e un manipolo di «studiosi per così dire di professione o cultori dilettanti di storia, letteratura e arte locale» accomunati ed animati da una tenace e viva fede nei valori della cultura.
Il quotidiano «Libertà» registrò puntualmente i proponimenti, le discussioni e le conversazioni preliminari per la realizzazione di un progetto che – come si legge nell’avvertenza Al lettore apposta al primo fascicolo – aveva come obiettivo quello di illustrare la storia locale mediante i nuovi criteri storiografici che andavano allora definendosi in un momento di vigoroso progresso delle scienze filologiche e storiche.
Suggerimenti epistolari, scoperte in archivio e in biblioteche, segnalazioni bibliografiche: l’invito a collaborare era rivolto a «chiunque ponga come fine alle sue investigazioni e ai suoi studi la verità», a condizione che il contributo «abbia in sé un vero interesse e in un modo qualsiasi concerna la storia locale». Nell’«accolta» di studiosi vi era dunque l’impronta di un sodalizio consolidato, di un’elaborazione collettiva, abilmente orchestrata, per lungo tempo, dal direttore, il quale si trovò a realizzare – anche in tempi difficili – un percorso di lavoro senza radicamenti istituzionali, legato piuttosto ad un ambiente culturale. Il merito di Fermi fu, in primis, quello di essere riuscito ad intrecciare una fitta rete di rapporti con studiosi piacentini e non, assicurando al periodico le caratteristiche proprie di un mezzo di informazione culturale a livello scientifico, che sarebbe divenuto ben presto uno strumento di organizzazione culturale, prodotto di rapporti personali piuttosto che di schieramenti precostituiti.
Per oltre quarant’anni, il Bollettino rimase dunque strettamente legato alla personalità del Fermi, che molto lavorò per accrescere la presenza della rivista nell’orizzonte culturale italiano. Nell’arco dei primi decenni, la rivista assunse caratteristiche e peculiarità che ne segnarono anche la storia successiva, inserendosi pienamente – come rimarcò lo stesso Fermi ricordando i primi venticinque anni del Bollettino – nel dibattito storiografico nazionale. E nel segno della più stretta continuità fu la linea editoriale di Emilio Nasalli Rocca, già stretto collaboratore del Fermi e direttore della Biblioteca Comunale Passerini Landi, che assunse la direzione del periodico all’indomani della morte del Fermi, avvenuta nell’ottobre del 1952 (la proprietà della rivista passò agli eredi). I venti anni di direzione del Nasalli furono segnati dalla formazione di una nuova generazione di storici piacentini e dallo stretto legame con la Biblioteca Comunale. Questo periodo lasciò inoltre il segno di un robusto apparato di recensioni, segnalazioni e notizie bibliografiche e di contributi orientati all’approfondimento della storia nobiliare, religiosa, giuridica e medioevale, studiata prevalentemente negli aspetti istituzionali ed economico-sociali.
Al Nasalli succedette nel 1973 Giovanni Forlini, che nel suo primo editoriale riaffermò l’esigenza di «conservare il carattere e la fisionomia di un serio contributo alla diffusione della cultura nostrana», un intendimento che lo portò anche alla ripresa degli studi letterari ottocenteschi e giordaniani, il cui percorso di approfondimento era stato avviato appunto dal Fermi. I settant’anni del «Bollettino», salutati anche dall’uscita degli Indici, furono l’occasione per ribadire il valore di una rivista rimasta legata largamente alla tradizione fermiana e in grado di porsi – lo ribadì Forlini nell’editoriale di Commiato del 1978 – come periodico di riferimento di molti studiosi, senza trascurare raccordi e inserimenti nella vita culturale nazionale.
Nel 1978 subentrò una direzione collegiale composta da Vittorio Anelli, Carmen Artocchini (direttore responsabile fino al 1986) e Carlo Emanuele Manfredi, successore di Nasalli alla direzione della Biblioteca Comunale. Con un patrimonio di ricerche e di studi di oltre ottant’anni, la rivista iniziò ad ospitare contributi scientifici sempre più differenziati, spaziando dalla storia medioevale a quella contemporanea ed aprendosi anche al mondo della scuola.
Nel settembre del 1989, con la morte di Vittorio Fermi, che aveva amministrato la rivista per quarant’anni, la famiglia Fermi cedette liberalmente la proprietà della testata all’associazione Amici del Bollettino Storico Piacentino, che si fece garante della sopravvivenza della rivista – di cui confermò la direzione –, proponendosi di continuare l’azione di promozione culturale da sempre svolta dal «Bollettino» come centro di aggregazione di interessi e di persone. Nel 1991 l’Associazione riprende anche la pubblicazione della Biblioteca Storica Piacentina – la collana promossa dal «Bollettino» nel 1910, il cui ultimo titolo era uscito nel 1979 – con il volume XL che chiude la prima serie della Biblioteca. La seconda, posta anch’essa sotto la stessa direzione del «Bollettino», nasce articolata in tre sezioni (Studi, Strumenti, Testi).
La nascita dell’Associazione ha segnato per certi versi – come si legge nell’editoriale Ai lettori – un ritorno alle origini, alla forte volontà di studiosi intenzionati a perseguire gli obiettivi storici del «Bollettino», ma in maniera ancora più esplicita, sistematica e in sempre più stretta collaborazione con gli enti cittadini e le istituzioni culturali. Intendimenti perseguiti con tenacia e perseveranza che certo non si arrestano alla soglia dei Cento anni della rivista: l’obiettivo della Direzione è quello di continuare a svolgere «in modo efficace e sistematico la raccolta e la diffusione di informazioni archivistiche e bibliografiche» al contempo «arricchendo di nuove competenze la nostra redazione e allargando la rete di relazioni con gli istituti di ricerca».